Una delle sfide più difficili che stiamo affrontando a livello globale è quella dei cambiamenti climatici, che non stanno certo risparmiando l’Italia, caratterizzata da un territorio molto delicato dal punto di vista ambientale, con quasi 8.000 chilometri di coste, 91 comuni ogni 100 situati in zone a rischio idrogeologico e 7 milioni di abitanti che vivono in territori considerati vulnerabili.
Anche gli eventi atmosferici di origine marina si stanno intensificando e i loro effetti sono sempre più distruttivi: basti pensare alla mareggiata di fine ottobre dell’anno scorso – che ha trasformato i porti di Santa Margherita Ligure e di Rapallo in cimiteri di yacht, lasciato isolato il comune di Portofino a seguito del crollo della Strada Provinciale 227, e provocato danni su tutta la costa ligure –, alla tromba d’aria accompagnata dalla grandine che ha spaventato Genova a inizio novembre, passando a pochi metri dal Porto Antico, fortunatamente senza provocare danni, e al recente straordinario livello del mare che ha messo in ginocchio Venezia, che h avuto tra le sue concause una violenta e anomala “sciroccata”, cioè il prolungarsi di venti che soffiano da sud/sud-est e che spingono l’acqua marina all’interno della laguna, caratterizzata da bassi fondali, i quali non riescono a contenere l’innalzato livello del mare che necessariamente si riversa sulle coste e, nel caso di Venezia, in città.
Tra i vari danni che questo genere di calamità si porta dietro, ci sono anche quelli alle imbarcazioni che si trovano nei porti colpiti, che spesso non riescono a contenere l’impeto del moto ondoso. In questi casi, le perdite subite dagli armatori sono elevatissime, talvolta totali, con l’affondamento delle loro unità.
Ma il punto cruciale è: di chi è la responsabilità in questi casi? Ovvero, chi paga i danni? Il quesito ci mette di fronte a diversi scenari. Il primo aspetto su cui far chiarezza è l’eventuale colpevolezza del porto turistico in cui erano ormeggiate le imbarcazioni: solitamente – fatta salva la stipulazione di un contratto aggiuntivo da parte dell’armatore con il porto stesso, o l’inclusione di una clausola speciale nel contratto di ormeggio – non viene attribuito l’onere della custodia al porto turistico, e questo ne esclude la relativa responsabilità. In caso di calamità naturale decretata per legge, è possibile attingere a parte dei fondi messi a disposizione.
Vengono in entrambi i casi in soccorso le polizze assicurative per la nautica, con diversi tipi di coperture. La più basilare è la semplice Responsabilità Civile, obbligatoria per le imbarcazioni proprio come per le automobili, che copre l’assicurato esclusivamente per i danni a terzi. È consigliabile abbinare la polizza RC ad una Corpi Yacht, la polizza che copre anche i danni subiti dall’imbarcazione assicurata. Generalmente le polizze Corpi – che possiamo definire come delle Kasko per le imbarcazioni – sono suddivise in tre gruppi in base al livello di copertura offerto: le polizze Corpi C includono solitamente la perdita totale della barca fino ad arrivare alle spese di salvataggio e rimozione del relitto, le polizze B possono includere in aggiunta il furto e l’incendio e le polizze A in genere coprono tutti i rischi possibili, come delle vere e proprie All-Risks. Bisogna poi fare attenzione alla copertura dei danni indiretti, ovvero quelli che potrebbe per esempio causare un’imbarcazione alla deriva in un porto, sbattendo sugli ostacoli che malauguratamente si trovassero sul suo percorso. Un occhio di riguardo va prestato anche per l’eventuale esclusione dei danni catastrofali, che abbassa sì il premio pagato dal contraente ma, per esempio nei casi citati sopra, non pagherebbe il relativo danno.
In conclusione, è bene prestare attenzione a come ci si prende cura della propria imbarcazione, talvolta si pensa di essere completamente coperti a livello economico in quella che è la propria passione o la propria attività, in realtà non si sta navigando in acque sicure.
(Riccardo Rucco)